ultimo aggiornamento: 19 Luglio 2017 alle 14:20
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il modello disgiunzionale:
la visione kinesiopatica del rachide
L’intelaiatura della colonna vertebrale, pertanto, è strutturata in modo tale da permettere l’assorbimento di forze che abbiano un’azione di carico verticale e di favorire un certo grado di allungamento e flessibilità della colonna vertebrale. Inoltre, grazie alla sua alternanza di cifosi (curve a concavità anteriore) e lordosi (curve a concavità posteriore) si comporta come una molla in grado di assorbire, distribuire e restituire le forze ad essa applicate. Agendo su questi differenti peculiarità, la muscolatura, riesce ad esercitare un’azione dinamica di adeguamento alle normali attività che ognuno di noi esercita quotidianamente, in maniera equilibrata, confortevole ed economica. Per comprendere meglio il concetto di ripartizione dei carichi, che sottostà a ciò che in Kinesiopatia definiamo “modello disgiunzionale”, è bene considerare le influenze che il passaggio da una posizione quadrupede ad una bipede hanno indotto nel nostro corpo. La stazione eretta è una conquista significativa e vantaggiosa per l’essere umano, una vittoria sulla forza di gravità, che permette all’uomo di elevare la propria linea dell’orizzonte ed ottenere la libertà d’uso di una coppia di arti: le mani.
Infatti, è ormai consolidata ipotesi che l’uomo abbia inizialmente conseguito la postura bipede per fini pratici quali ad esempio il poter vedere a più lunga distanza (la posizione quadrupede limita, infatti, drasticamente il campo visivo), oppure raggiungere una maggiore libertà degli arti superiori e delle mani al fine di manipolare, costruire e difendersi, migliorando così notevolmente la qualità della propria vita. Agli arti inferiori fu perciò affidato per intero il compito di “sostegno” e di locomozione.
Nella postura eretta, per ottimizzare le risposte antigravitazionali, il corpo ha un proprio asse, passante per il vertice del cranio, dietro i condili mandibolari, fra la terza vertebra cervicale e l’osso ioide, la terza vertebra lombare e l’ombelico; prosegue dietro all’articolazione dell’anca, leggermente davanti alla giunzione tibio-tarsiaca, per arrivare a contatto col terreno. Osservando attentamente il corpo ed il suo asse, i due terzi del cranio sono posti anteriormente alla linea di riferimento, generando nel corpo stesso la tendenza a protendersi in avanti, tanto che è sufficiente una piccola variazione di attività dei muscoli locomotori per compiere un primo passo.
Lungi dall’essere una postura statica, la stazione eretta potrebbe essere vista come il continuo, incessante coordinamento dell’apparato neuromuscolare nel tentativo di mantenere il baricentro corporeo all’interno di una ristretta base di appoggio. Svariati fattori minacciano in ogni istante questa condizione di “precario equilibrio” e tra essi possiamo citare ad esempio qualsiasi movimento volontario degli arti superiori o del tronco; lo stesso atto respiratorio provoca una ritmica modificazione degli assi della gabbia toracica grazie al diaframma respiratorio che, facendo perno sul tratto dorso-lombare tramite i suoi potenti pilastri ligamentosi, solleva e dilata le cartilagini costali per mezzo delle sue inserzioni distali aumentando in quell’istante la lordosi lombare.
Parimenti, altre condizioni fisiologiche quali le continue espansioni e contrazioni della teca cranica associate ai movimenti “di basculamento” dell’osso sacro facenti parte del ritmo Cranio-Sacrale o le impercettibili e ripetitive variazioni del pattern di contrazione dei muscoli antigravitazionali, i veri promotori della stazione eretta, sono fra le cause di questo “equilibrio dinamico” ed in continua modificazione.
In particolare i muscoli ad azione antigravitaria sono quei muscoli che non si riposano mai nell’arco della giornata, che hanno il compito di adattarsi con continui adeguamenti, rilasciandosi o attivandosi, rispondendo anche ai più piccoli segnali di variazione inviati del Sistema Nervoso Centrale in base alla posizione delle varie articolazioni nello spazio. Si intuisce che affinché questo imponente lavoro avvenga simultaneamente i muscoli antigravitazionali debbano agire in maniera sinergica o, in altre parole, in accordo fra loro. Da qui a considerare l’intero apparato muscolare come organizzato in vere e proprie “catene cinetiche” il passo è davvero breve (controllo coordinato di contrazione).
Quando le “catene muscolari” perdono la loro elasticità; quando si modifica l’azione muscolare sull’asse costituito dalla colonna vertebrale; quando la pressione presente all’interno degli spazi creati dall’alternanza di cifosi e lordosi, subisce delle variazioni, possono generarsi forze che agiscono ed alterano il delicato meccanismo di controllo dell’equilibrio.
Se, ad esempio, un qualsiasi evento provoca un aumento della pressione endo-addominale (un problema biochimico/alimentare o la somatizzazione viscerale di tensioni in ambito emotivo), la forza generata non può aprirsi un varco né superiormente, a causa della cupola diaframmatica, né inferiormente, poiché ostacolata dall’intricato e fitto disegno muscolare del pavimento pelvico, né posteriormente, vista la presenza di strutture ossee e lamine muscolari efficaci. La tendenza naturale sarà quella di espandersi nella direzione di minore resistenza: verso il tessuto muscolare addominale, unica via di “sfogo”. La tonaca muscolare addominale comincerà a cedere, i visceri a protendersi verso l’esterno, promuovendo un basculamento pelvico (rotazione in direzione anteriore).
Ciò comporterà una tendenza all’orizzontalizzazione sacrale, con una modifica dei rapporti fra sacro e quinta vertebra lombare, favorendo una progressiva contrazione dei muscoli lombari che cercheranno di “raddrizzare” la zona lombare e, di conseguenza l’intera colonna vertebrale. La conseguenza sarà, invece, quella di incrementare la lordosi lombare, venendo a mancare la stabilizzazione della muscolatura addominale. Nei casi estremi le forze che agiscono sul complesso lombo-sacrale indurranno una tale tensione che l’osso sacro, raggiungerà un’orizzontalizzazione tale da promuovere lo scivolamento di L5 in avanti sul piano d’appoggio sacrale (spondilolistesi) fino ad una compressione lombosacrale scatenante il più che sconosciuto dolore lombare.
Se ci limitiamo a porre la nostra attenzione su quel piccolo segmento L5/S1 considerandolo come unico ingranaggio difettoso, confondiamo l’effetto con la causa. La necessità di mantenere un equilibrio univoco, antigravitazionale, comporta che squilibri posti a distanza, influenzino la zona lombo-sacrale, che funge da cerniera fra le gambe (sostegno e contatto con il terreno) ed il resto del corpo. Ricordiamo che il corpo, funzionalmente, non è scisso in segmenti divisi fra loro, ma è costituito da un insieme di correlazioni non solo spaziali, ma anche funzionali o neurologiche. Ogni informazione, ogni stimolo che il corpo riceve viene identificato e catalogato dal sistema nervoso secondo parametri propri. Il dolore in realtà è un amico che ci segnala che qualcosa non funziona nel corpo, ma che non sempre ci fornisce un’indicazione esatta di dove è il problema. Infatti, si può manifestare spesso in forma “riflessa”, distante, cioè, dalla reale sede di lesione.
Occorre tener presente, quindi, che tensioni in aree distanti del corpo o stress possono facilitare, cioè rendere più sensibili, le terminazioni nervose, rendendo dolorosi stimoli o tensioni locali che, viceversa, non lo sarebbero. Dette tensioni “distanti” possono essere le responsabili dei disturbi a livello della schiena, generando tensioni o dolori di tipo riflesso.
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