accidia

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definizione

Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa, assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo ma anche indifferenza spirituale o avversione per il lavoro, abulia, apatia, fiacchezza, ignavia, indolenza, inerzia, infingardaggine, neghittosità, negligenza, pigrizia, poltronaggine, poltroneria, svogliatezza; nella morale cattolica, il termine è indica la negligenza nell’operare il bene e nell’esercitare le virtù.

Il termine latino volgare acedĭa è il tramite attraverso cui l’etimologia classica traduce sia ἀκηδία (akidíaacedia), sia ἀκήδεια (akḗdeiaaccidia): deriva dal greco ἀκηδία (akēdía → negligenza), composto da ἀ- privativo e κῆδος (kídos → cura, tristezza, affanno); nel lessico contemporaneo il lemma accidia e acedia potrebbero essere utilizzati come sinonimi per descrivere uno stato di noia e depressione, indicando lo scoraggiamento, l’abbattimento e la stanchezza associati ad una sorta di perdita della volontà.

storia dell’accidia: dalla pace dei sensi al peccato

Nell’antica Grecia il termine indicava, letteralmente, lo stato inerte della mancanza di dolore e cura, l’indifferenza, ma anche la tristezza e la malinconia; nel Medioevo, il suo uso passò a indicare il torpore malinconico e l’inerzia che prendeva coloro che erano dediti a vita contemplativa, perdendo, in un certo senso, il distacco dalla realtà perchè assorbiti da uno stato meditativo: San Tommaso d’Aquino la definiva come il «rattristarsi del bene divino», in grado di indurre inerzia nell’agire. Il senso del termine è in stretto rapporto con quello della noia, con la quale l’accidia condivide una medesima condizione originaria determinata dalla vita contemplativa: entrambe nascono, comunque, da uno stato di soddisfazione e non dalla negatività.

Acedia est quaedam tristitia, qua homo redditur tardus ad spirituales actus propter corporalem laborem” (San Tommaso d’Aquino – Sum. Theol. I 63 2 ad 2: L’accidia è una specie di tristezza per cui una persona è resa lenta all’attività spirituale a causa del lavoro fisico)

Viceversa, il significato del termine accidia diviene fortemente connotato, nelle culture cristiane, di implicazioni moralistiche e negative: nell’antica tradizione teologica cattolica, è il settimo fra i vizi  capitali (peccati) ed è costituito dall’indolenza o dall’avversione a nel perseguire o all’operare il bene (divino), dovuta alla noia del divino e al disgusto per ciò che è spirituale; l’accidia indica lo stato di una persona la cui fede vacilla, o è andata persa e rappresenta il vizio che più comunemente porta l’anima all’eterna rovina e la fa schiava del demonio.

Secondo tale visione, l’accidia ha le sue figlie, come tutti gli altri vizi capitali: generalmente i teologi le assegnano la disperazione, la pusillanimità, il torpore, la malizia, il rancore, la distrazione della mente dalle cose spirituali.

Chi rinuncia a poter conseguire la vita eterna, trascura ogni mezzo per conseguirla, gettandosi dietro le spalle ogni pensiero di perfezione e si dà in balìa delle sue sfrenate passioni, da cui deriva la disperazione; la pusillanimità rappresenta la trascuratezza seguire i consigli evangelici e i divini precetti, perché li trova troppo difficili; il torpore determina una certa leggerezza o mancanza d’impegno, per cui si trascura del tutto l’osservanza dei precetti, o la si fa di mala voglia e quasi per forza, portando all’inaridimento nell’anima di ogni umana devozione, indebolendo le forze, spargendo la zizzania dei vizi e l’oscurità della mente, che poi la rende inabile agli esercizi di virtù.

La malizia, ovvero il mettere in ridicolo le persone semplici e dabbene, motteggiando la loro pietà e burlandosi di loro; il rancore, che consiste in un certo sdegno verso quelle persone che, o con prediche o con esortazioni e con avvisi e consigli, cercano di stimolare a cambiare condotta di vita e per questo sparlano di esse e le disprezzano senza voler profittare dei loro insegnamenti e correzioni.

Infine la distrazione della mente dalle cose spirituali, per le quali si ha tristezza e tedio, è l’ultima figlia dell’accidia, perchè porta a dedicarsi con piacere a ciò che è illecito e malvagio.

l’accidia nella letteratura

Gli accidiosi di Dante sono i penitenti che scontano la loro pena nella IV Cornice del Purgatorio, colpevoli di scarso amore per il bene: sono costretti a correre a perdifiato lungo la Cornice, gridando alternativamente esempi di sollecitudine e accidia punita, incitandosi a non perdere tempo per poco amore.

Petrarca descrive l’accidia, invece, come una condizione in cui l’individuo, pur rendendosi conto della propria negligenza e provandone senso di colpa, al tempo stesso non si sforza concretamente di mutare il proprio atteggiamento.

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