ultimo aggiornamento: 23 Ottobre 2023 alle 9:05
definizione
Modalità di pensiero persistente, associata a comportamenti finalizzati a non affrontare una situazione temuta: similmente al diniego ed alla elusione, l’evitamento è un meccanismo di salvaguardia, tipico delle forme di ansia, caratterizzato dal cercare di non entrare in contatto con situazioni o cose temute; può essere definito una strategia difensiva tipica della «flight and fright response», attivato già durante la fase di allarme dello stress.
Derivato dal latino evitāre, composto da ĕx- (esterno, con valore intensivo) e vitāre (→ scansare, sfuggire), il termine descrive quelle reazioni comportamentali o cognitive di allontanamento, fuga o rifiuto emesse in previsione di stimoli dolorosi (ansia anticipatoria); in quest’ultima accezione, l’enfasi è posta sul fatto che, siccome l’evitamento è finalizzato ad impedire il riprodursi di condizioni spiacevoli, i comportamenti che vengono attuati sono spesso acquisiti e memorizzati come metaprogrammi, per mezzo del rinforzo negativo: in altre parole, qualunque atteggiamento, condotta o stile di pensiero che riesca a evitare il confronto con uno stressor ansiogeno o doloroso, producendo sollievo, diverrà un pattern che si tenderà a ripetere frequentemente.
Il meccanismo di fondo consiste, semplicemente, nel non fronteggiare ogni stimolo ansiogeno e stressante: la conseguenza è un aumento della percezione di pericolosità della situazione evitata; questo tipo di difesa è, spesso, alla base dello sviluppo di fobie, oltre al mantenimento di credenze disfunzionali, come la convinzione erronea che oggetti o eventi possano essere pericolosi. Quanto più un individuo evita di esporsi ad oggetti o situazioni che gli provocano paura, tanto più sarà confermata in lui la credenza che tale oggetto o situazione siano realmente pericolose: nel lungo periodo, l’evitamento può dar luogo a un peggioramento della qualità di vita fino a sviluppare una vera e propria fobia sociale; la reazione di evitamento è tipica dei disturbi d’ansia, degli attacchi di panico, oltre ad essere uno dei sintomi caratteristici del disturbo evitante di personalità e del disturbo post traumatico da stress, ma spesso è presente anche in caso di ipocondria o patofobia.
Spesso deve essere considerato una forma di reazione all’ansia anticipatoria, quando si temono le conseguenze di una decisione e di un’azione, o se non ci si sente competenti, adeguati o all’altezza della situazione: più lo scenario immaginato è catastrofico, più si cercheranno di evitare le conseguenze negative che si delineano nella nostra mente; la possibile evoluzione è l’instaurarsi di un circolo vizioso, caratterizzato da
elusione → percezione soggettiva di inefficacia
→ rafforzamento dell’idea di non essere in grado di mettersi in gioco
→ ulteriore elusione
→ sensazione soggettiva e temporanea di una diminuzione dell’ansia
→ fallace idea di efficacia del comportamento difensivo
→ rafforzamento della condotta evitativa
Un atteggiamento sociale associato all’elusione, sempre più diffuso, è il cosiddetto escaping o escapismo, una atteggiamento psicologico caratterizzato dalla tendenza alla fuga dalla realtà, dai problemi, dalle responsabilità, da situazioni sgradevoli rifugiandosi nell’immaginazione, nel disimpegno, nel divertimento: il desiderio di evadere da una prigionia “metaforica” come quella imposta da situazioni noiose, difficili, drammatiche, ma che diviene fuga dalle sue difficoltà del quotidiano e dai suoi problemi, ottenuta con forti emozioni, con l’ubriachezza o addirittura gli stupefacenti, arrivando ad estraniarsi da una realtà nei confronti della quale si prova disagio.
evitamento esperienziale
Può essere considerato una strategia il cui scopo è controllare, alterare o neutralizzare la sofferenza che dipende dalle nostre esperienze interne (pensieri, emozioni, sensazioni o ricordi), indipendentemente dal fatto che questo possa causare un danno comportamentale; sia che sia finalizzato a lenire gli effetti dell’ansia anticipatoria o che sia il tentativo di controllare la conseguenza di pensieri rimuginati (pensieri per controllare altri pensieri), lo scopo è cercare in tutti i modi di non pensare o di non ricordare un dolore: lo scopo vero è fuggire, razionalizzando o ignorando.
A fronte di situazioni depressive, la notevole difficoltà nello svolgimento delle abituali attività quotidiane, causata dalla presenza dei sintomi somato-emotivi e comportamentali e fisiologici caratteristici di questo stato, le persone mettono in atto istintivamente alcuni tipici comportamenti di evitamento, che conducono ad abbandonare o ridurre notevolmente gli impegni quotidiani e le attività piacevoli consuete, diminuendo in questo modo la possibilità di interrompere le ruminazioni negative e sperimentare un seppur breve stato mentale positivo.
Sintomi quali la difficoltà di concentrazione o di memoria, l’indecisione, la mancanza di interesse o energia, possono condurre la persona a considerarsi incapace di affrontare e gestire autonomamente le occupazioni quotidiane consuete o a sopravvalutare, irrealisticamente, le difficoltà insite in esse: a causa di tale convinzione, la reazione di evitamento spinge la persona a rimandarle, ad eluderle o a delegarle a qualcuno, diventando in tal modo eccessivamente dipendente dagli altri; tali comportamenti di evitamento, pur dando l’illusione di alleviare momentaneamente il mal-essere, in realtà conducono ad un graduale aggravamento del disturbo provocando una profonda ricaduta negativa sull’autostima.
L’evitamento esperienziale si concretizza nel tentativo di fuga o di controllo dell’esperienza, sia essa l’espressione del mondo interiore o la manifestazione dello stress nel confrontarsi con il mondo esterno, per non affrontare situazioni ansiogene, i conflitti o l’espressione della rabbia. Come ben scrive lo psicologa americano Steven C. Hayes:
«the control is the problem, not the solution»
(il controllo non è la soluzione, ma il problema)