definizione
Disturbo della sensibilità dolorifica caratterizzato da una diminuzione patologica della capacità di percepire gli stimoli algogeni, spesso in associazione a forme di disestesia che coinvolgono altre forme di sensibilità (tattile, propriocettiva … ): il fenomeno può essere la conseguenza dell’innalzamento della soglia di stimolazione dei recettori agli stimoli; la scomparsa completa della sensibilità dolorifica in un determinato distretto viene invece definita analgesia.
Termine composto dei lemmi greci ὑπο– (hypò– → sotto) e ἄλγησις (álgesis → dolore): diminuita sensazione dolorosa in risposta ad uno stimolo algogeno, normalmente doloroso.
Può essere provocata da qualunque processo patologico che comporti una lesione delle vie nervose che conducono gli impulsi generati da stimoli dolorifici sia a livello periferico, come nel caso di lesioni delle fibre nervose afferenti, che trasmettono gli impulsi nocicettivi alle corna dorsali del midollo (neuroprassia delle fibre sensitive, talvolta neurotmesi), sia per la presenza di lesioni del sistema nervoso centrale quali lesioni talamiche, siringomielia, lesioni midollari o neuriti, sia nel caso di malattie psichiatriche quali la schizofrenia o negli stati stuporosi e pseudo-stuporosi; l’ipoalgesia può anche essere provocata artificialmente, per scopi terapeutici, per lo più con mezzi farmacologici, tecniche anestesiologiche e con l’ipnosi. Le forme più frequenti sono quelle dovute a neuropatia diabetica e ad alcolismo.
La valutazione funzionale delle risposte nervose può evidenziare la presenza di una ipoalgesia che coinvolga tutte le vie nocicettive o sia una manifestazione parziale che interessi il dolore urente o altri tipi di sensibilità: l’ipoalgesia che coinvolge gli stimoli tattili denota una compromissione delle fibre Aβ per stimoli puntori, delle fibre Aδ per il freddo, delle fibre C (termiche e nocicettive) per il calore eccessivo che può provocare ustioni.
ipoalgesia e Kinesiologia Transazionale®
L’ipoalgesia, in alcuni contesti come il dolore cronico o la fibromialgia, può essere considerata, anziché un disturbo, una finalità: l’utilizzo di tecniche di riequilibrazione neuro-mio-fasciale in associazione ad esercizi mirati possono essere considerati parte integrante nella gestione del dolore cronico.
Il processo di riequilibrazione e riprogrammazione neuro-mio-fasciale si basa sulla sinergia ottenibile fra tecniche riflessologiche (riflessi neurolinfatici di Chapman), procedure di normalizzazione della funzioni neurologiche (riflessi neurovascolari di Bennett), test muscolari e esercizi aerobici di intensità moderata, effettuati per mezzo di contrazioni prolungate, secondo particolari combinazioni di contrazioni isometriche e/o contrazioni pliometriche: è opportuno evitare di raggiungere livelli di fatica, perché si produca ipoalgesia più duratura, graduando l’esercizio in base allo stato fisico e somatoemotivo della persona.
L’esercizio fisico di minore intensità favorisce una maggior tolleranza nel soggetto, soprattutto se si associa il lavoro muscolare supervisionato alla ripetizione frequente nella quotidianità: l’effetto di tale combinazione è, in genere, la mancanza di “effetti collaterali”, la facilità nell’inserire nella propria routine gesti e movimenti facilmente eseguibili e non stancanti e la ripetitività che induce l’acquisizione di un “metaprogramma” di movimento abituale.
Seguendo le linee guida, solitamente, non si osservano bruschi cambiamenti dei livelli di dolore, aumenti o decrementi, anche se all’inizio del programma, può insorgere un leggero incremento del dolore, seguito da decremento dello stesso, sempre che vengano rispettate le indicazioni e la ripetizione del lavoro; la compliance viene migliorata non solo grazie agli effetti positivi raggiunti, ma soprattutto combinando l’esercizio con un lavoro motivazionale o agendo su un programma di miglioramento personalizzato.
Il protocollo, che deve essere considerato una sorta di rieducazione al movimento finalizzato ad indurre un cambiamento comportamentale, è efficace nella maggior parte delle condizioni dolorose di tipo muscolo-scheletrico, inclusi i disordini cronici del collo, l’osteoartrosi, l’artrite reumatoide, la fibromialgia, il dolore miofasciale o il mal di schiena cronico.
In genere questo tipo di esercizio aumenta i livelli plasmatici di β-endorfine, come conseguenza del coinvolgimento del sistema nervoso periferico; attiva, inoltre, le fibre afferenti a largo diametro, e quindi i meccanismi con cui l’esercizio stesso allevia il dolore possono coinvolgere l’inibizione spinale degli stimoli nocicettivi, come ipotizzato dalla gate control theory, coinvolgendo il rapporto fra l’attivazione della corteccia motoria e l’inibizione discendente.
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