Dal greco ἴσο– (íso– → uguale, simile, affine) e πραξία (praxía → atto), derivato dal tema di πράσσω (prásso → fare), viene detto anche isopraxismo: tendenza a riprodurre gli stili di comportamento, le forme dell’apparire, ad imitare il manierismo non verbale; atteggiamento basato su schemi di imitazione, non acquisiti con l’apprendimento ma espressione di una predisposizione neurologica. Può essere definito come una forma di mimetismo “rettiliano”, cioè mediato dall’impulsività del R-Complex, caratterizzato dalla predisposizione a copiare, emulare, scimmiottare comportamenti, gesti o “capricci”: condiziona la tendenza ad identificarsi in gruppi sociali di appartenenza, a cui aderire anche con gli atteggiamenti esteriori e l’abbigliamento, secondo l’idea che l’identità faciliti l’accettazione nell’ottica che “uguale è sicuro”. Il termine è stato introdotto dal neuroanatomista Paul D. MacLean, nel 1975, per descrivere i tipici comportamenti umani di coinvolgimento o imitazione, che possono essere comparate a forme di mimetismo.(nell’articolo “The Imitative-Creative Interplay of Our Three Mentalities“). All’inizio degli anni ’90, la scoperta dei “neuroni specchio” nella corteccia, prevalentemente a livello dell’area di Broca (area 44 Brodmann), avvalora la predisposizione neurologica ad attuare comportamenti imitativi (Vittorio Gallese, Giacomo Rizzolatti e colleghi – Università di Parma: “The Imitative Mind” – 2002).
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