ultimo aggiornamento: 20 Dicembre 2022 alle 13:00
definizione
Il termine, coniato negli anni ’60 dall’architetto Richard Buckminster Fuller come portmanteau (sincrasi nata da fusione linguistica) di “integrità strutturale” (“structural integrity”) e “tensione” (“tension”), descrive sistemi autoportanti (strutture) in grado di ripartire, attraverso una rete di segmenti discreti e distinti in relazione reciproca, assoggettati a forze di compressione, e da elementi continui sottoposti a sforzi di tensione; strutture che si autosostengono per effetto di uno stato di tensione presente nel sistema, ovvero in grado di garantire l’integrità tensionale di una struttura: la tensegrità può essere definita come una forma di integrità tensionale, ove un sistema di componenti isolati sotto compressione all’interno di una rete di tensione continua, è in grado di mantenere una struttura in uno stato di compressione fluttuante.
Il concetto di tensegrità esprime la capacità di un sistema di stabilizzarsi dinamicamente attraverso l’azione bilanciata di vettori tensivi (trazioni) e compressivi (compressioni), che si ripartiscono e si equilibrano fra loro, all’interno di un sistema vettoriale chiuso; per questo viene definita anche “floating compression”, termine utilizzato da Kenneth Snelson, scultore americano, che ha utilizzato i principi di “tensione integrata”, per realizzare le proprie opere.
Il chirurgo ortopedico americano Dr. Stephen Levin, come conseguenza delle osservazioni effettuate nella propria pratica professionale, ha applicato i concetti di tensegrità (Richard Buckminster Fuller) o floating compression (Kenneth Snelson), alle strutture biologiche, coniando il termine “biotensegrity” (biotensegrità): secondo questa idea le strutture biologiche come muscoli, ossa, fasce, legamenti e tendini, ma anche le membrane cellulari sono rese forti dall’unione di parti tese e compresse.
descrizione
Una definizione che descrive bene i sistemi tensegrali è quella utilizzata da Richard Buckminster Fuller: «isole di compressione in un oceano di tensione»; tale definizione fa rientrare al proprio interno diverse tipologie di strutture e sottolinea un’interessante caratteristica comune a tutti i sistemi tensegrali, cioè la disposizione degli elementi compressi all’interno della maglia tensionale. La definizione più recente è stata redatta dal Prof. Renè Motro, afferma: «si dice tensegrale un sistema in uno stato di auto-equilibrio stabile comprendente una serie discontinua di componenti compressi all’interno di un continuum di componenti tesi»; per stato di auto-equilibrio stabile si intende che la struttura, prima ancora di essere soggetta a qualsiasi carico esterno, compreso il peso proprio, deve essere in uno stato di presollecitazione che garantisce la stabilità, ovvero la capacità di tale sistema di ripristinare la posizione iniziale dopo una qualsiasi perturbazione esterna.
Una struttura tensegretiva è caratterizzata da livelli di resistenza significativamente superiori alla somma delle resistenze dei singoli componenti e viene contraddistinta da una elevata leggerezza, richiedendo strutture meno pesanti rispetto a strutture rigide o compressive; è contrassegnata da elevata flessibilità, assomigliando funzionalmente ad un sistema pneumatico, possedendo, pertanto, una grande capacità di adattamento ai cambiamenti di forma in equilibrio dinamico. Infatti una struttura tensegretiva è in grado di assorbire, attraverso la ripartizione dei carichi dinamici tipica dei sistemi a tensione reciproca, i vettori che possono indurre deformazioni a livello locale o sistemico: questa peculiarità può essere definita come l’interconnessione meccanica e funzionale di tutti gli elementi costitutivi del sistema, in grado di creare un network informazionale.
Se si applica il concetto di tensegrità al corpo, possiamo notare come l’organismo umano sia caratterizzato da una struttura tensegretiva, ovvero da una tensostruttura dove gli assi rigidi sono costituiti dalle ossa e le strutture flessibili dal sistema mio-fasciale: ossa, muscoli, fascia connettivale, legamenti e tendini sono mantenuti in un continuum di “compressioni flottanti” che conferiscono all’insieme mio-fasciale sia la necessaria rigidezza strutturale, sia l’indispensabile elasticità funzionale. Infatti, l’azione dei singoli muscoli viene tradotta in un’azione unisona e sincrona di compressioni e tensioni in equilibrio dinamico, mentre le strutture ossee costituiscono gli elementi di resilienza: la combinazione degli elementi dinamici e resistivi si concretizza in un sistema muscolo-scheletrico sinergico, altamente adattativo, dotato di capacità allostatiche e capienza; mentre i tessuti connettivali e muscolari garantiscono una continua tensione, grazie alla trazione, le ossa, pur essendo di per sé sistemi tensegretivi, rappresentano la componente sottoposta a compressioni discontinue.
L’interazione fra tensione e compressione minimizza il fabbisogno in substrati, incrementa la resilienza strutturale e costituisce l’utilizzo ottimale dello spazio. Le strutture tensegretive si basano sulla combinazione di elementi caricati in pura compressione o pura tensione: questo significa che la struttura cederà solo se i tiranti cedono o le strutture rigide si piegano; in ingegneria o architettura ciò consente di ottimizzare le proprietà del materiale e la geometria della sezione trasversale di ciascun elemento in base al particolare carico che trasporta. Ugualmente il precarico (precompressione tensionale) applicata ai tiranti consente loro di essere sempre in tensione, per mantenere l’integrità strutturale, mentre la stabilità meccanica, consente alle membrature di rimanere in tensione/compressione all’aumentare delle sollecitazioni sulla struttura che diventa anche più rigida all’aumentare della tensione del tirante. Il risultato di queste componenti è che nessun elemento strutturale subisce un momento flettente e non ci sono sollecitazioni di taglio all’interno del sistema.
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